Confini da attraversare, tra mille sfumature

18 Giu 2025

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I confini? Solo linee sulla sabbia, cancellate dal primo vento.
– Tahar Ben Jelloun

Ho una passione smodata, quasi ossessiva, per le cartine geografiche.
Da sempre.

Da quando ero bambina e mio papà, in montagna o in visita in una città, mi metteva in mano una mappa della zona e mi diceva: «Dobbiamo andare qui, guidaci tu».
Crescendo, ho iniziato a leggere i romanzi tenendo accanto l’Atlante o il Mappamondo (anni dopo sostituiti da Google Maps) perché avevo l’esigenza di “collocare” fisicamente i luoghi in cui si svolgevano le vicende che stavo leggendo.
All’università, uno degli esami che ho amato di più è stato quello che quasi tutti gli altri detestavano e non riuscivano a passare, cartografia (non chiedermi perché, ma a Lettere e filosofia c’era questo corso obbligatorio, compreso in quello di Geografia, in cui ci insegnavano a calcolare le isoipse e tutta una serie di misure e coordinate che, purtroppo, ho dimenticato).

Quando sono andata a vivere da sola, il primo oggetto con cui ho arredato la mia stanza è stata un’enorme carta geografica del mondo, che mi ha seguita in tutti i miei traslochi.

Ogni tanto, ancora oggi, mi perdo a osservarla, a sognare il prossimo viaggio e a stupirmi, ogni volta, per la posizione di un certo luogo sulla Terra («Ma dai, Palermo è più a oriente di Venezia!», «Pensa: New York ha la stessa latitudine di Napoli eppure in inverno ci sono le bufere di neve!», e via così).

Ho un’anima razionale e quelle linee convenzionali, tracciate su una rappresentazione altrettanto convenzionale della Terra o di alcune sue parti, mi rassicurano, mi aiutano a non smarrirmi davanti alla sua vastità, a non sentirmi soverchiata dall’immensità della natura.
È questo, credo, che ha fatto l’uomo per secoli, anzi per millenni: tracciare linee e segnare punti su una superficie per cercare di afferrare, di com-prendere (in senso etimologico) lo spazio intorno a sé e poi lo Spazio con la «S» maiuscola. Basandosi su straordinari calcoli matematici o sull’esperienza empirica dei suoi viaggi.
Fin qui, la parte affascinante della questione: linee e punti come espressione massima dell’anelito umano a conoscere ed esplorare il proprio pianeta (e non solo), spesso seguendo e rispettando i percorsi di fiumi, mari o montagne.
Ma molte di queste linee tracciate per com-prendere, nel tempo sono diventate confini per difendere ed escludere, per definire con chiarezza «questo è mio, quello è tuo», «qui sto io, lì stai tu». Spesso in modo arbitrario (ammesso e non concesso che ci sia un modo non arbitrario per dividere la Terra e impossessarsi di parti di essa, ma lungi da me aprire qui una discussione sul diritto o meno alla proprietà privata!). Spesso in seguito a guerre e ingiustizie. E queste linee sono diventate a loro volta causa di ulteriori guerre e ingiustizie.

Gli esempi sono, ahimé, tantissimi: i Paesi della ex Jugoslavia; India e Pakistan; Corea del Nord e Corea del Sud; Uzbekistan, Tagikistan e Kyrgyzistan; Armenia e Azerbaigian – solo per citare quelli che io stessa ho avuto modo di vedere da vicino. E qui non posso tacere la più grande delle ingiustizie causate da linee tracciate in modo arbitrario su una cartina: quella che da decenni genera sofferenza al popolo palestinese – donne e uomini, bambine e bambini – a Gaza, soprattutto, ma anche in Cisgiordania. O quella subita dai curdi, un altro popolo senza nazione, frammentato tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. Per non parlare dei conflitti senza soluzione che affliggono molti Stati africani, dalla Nigeria al Sudan, dal Congo al Mali, all’Etiopia.

Eppure, io continuo ad amare i confini, anche quelli segnati arbitrariamente dall’essere umano sulla superficie terrestre. Amo attraversarli, forse per dimostrare a me stessa che, di fatto, non esistono, che sono solo convenzioni. Non sarà un caso che, tra i viaggi più belli che ho fatto e che ho in programma di fare, quasi tutti abbiano in comune il superamento di confini nazionali. Perché attorno ai confini accadono le cose più interessanti: lingue e culture si mescolano, si mescolano costumi, sapori, tratti del viso, valori e visioni del mondo. Ma accadono anche i fatti più orribili, che dobbiamo conoscere e raccontare.

Ci sono tantissimi libri dedicati a questi argomenti. Uno dei miei preferiti è «Frontiere. Un viaggio intorno alla Russia», dell’antropologa e scrittrice norvegese Erika Fatland, che ha percorso i confini di questo immenso Paese non dall’interno, ma dall’esterno. L’autrice attraversa Alaska, Mongolia, Cina, Corea del Nord e Giappone, Georgia, Azerbaigian e Kazakhstan, Norvegia, Finlandia, Paesi Baltici, Polonia e Ucraina.

La sua idea è che i confini non siano margini, ma luoghi centrali, ricchi, vivi, spesso più identitari dei centri nazionali. Sono aree dove la contaminazione è inevitabile e, in un certo senso, salvifica.

Molti anni prima, dopo la caduta del muro di Berlino, un gigante del giornalismo e del racconto di viaggio, Tiziano Terzani, aveva scritto un libro fondato su un’idea simile: «Buonanotte, Signor Lenin» (in assoluto, credo, uno dei miei libri preferiti), scegliendo di raccontare il crollo dell’Urss visto non da Mosca o San Pietroburgo, ma dai Paesi dell’Asia centrale che, proprio allora, dichiararono la propria indipendenza dal regime sovietico.

Altri due consigli bibliografici (ma anche – perché no? – di viaggio): «Confini. Realtà e invenzioni», di Marco Aime e Davide Papotti, un saggio che esplora la natura artificiale dei confini, spesso imposti dall’Occidente, e le loro conseguenze sulle identità culturali e linguistiche. E «Dove si incontrano le acque», di Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin, che esplorano i confini dell’Europa, dai Balcani al Caucaso, dando vita a un racconto di viaggio attraverso il Novecento, per comprendere la storia e l’attualità dell’Europa.

Un’ultima annotazione: i confini, lo sappiamo bene, non sono solo geografici o amministrativi ma anche, forse più spesso, sociali. Giugno è il mese in cui si festeggia il Pride in molti Paesi, compresa l’Italia. È l’evento che, per eccellenza, celebra la fluidità dei confini, la bellezza di attraversarli e magari riattraversarli in totale libertà. La ricchezza e l’allegria delle sfumature e della contaminazione. È una festa che ci piace e che sosteniamo.

Perciò ti auguro buon Pride e buoni viaggi oltre i confini.

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