
Viaggi fuori stagione
1 Agosto 2025
Scopri di piùAscolta l’articolo letto da Marianna
«Cosa vuoi fare da grande?»
Sicuramente questa domanda è stata fatta anche a te, probabilmente avevi tra i 3 e i 7 anni e molto probabilmente hai risposto qualcosa di ambizioso tipo astronauta, artista, presidente o, perché no, Zorro.
Io ho risposto «voglio fare l’uomo tigre» e, per fortuna, di quella mia primissima vocazione conservo solo una foto scattata a carnevale in cui, facile da immaginare, indosso un costume da tigre.
L’obiettivo di chi pone questa domanda è innocuo: sorridere delle buffe vocazioni di una bimba o bimbo che ha ancora molto tempo per cambiare idea, ma che, si presuppone, e qui sta il punto, prima o poi dovrà sceglierne una.
Secondo Emilie Wapnick, scrittrice e coach canadese, nella domanda «Cosa vuoi fare da grande?», si manifesta per la prima volta la pressione sociale a scegliere un’unica carriera a cui dedicare la propria esistenza.
In quest’ottica, se ti specializzi sei sicuramente una persona di successo, professionale e affidabile, mentre se coltivi molteplici interessi, o cambi spesso percorso, sei una persona confusa, poco determinata e immatura.
A parte quel breve momento in cui volevo diventare il personaggio sofferto di un cartone animato particolarmente violento, non ho mai avuto un’unica vocazione. Biologa marina o regista? Operatrice umanitaria o critica d’arte? Organizzatrice di eventi o diplomatica? Quello che sapevo era che per raggiungere uno di questi traguardi avrei dovuto chiudere tutti i miei interessi tranne uno in un cassetto, e farlo il più in fretta possibile.
Nel suo TED Perché alcuni di noi non hanno un’unica vera vocazione, Wapnick critica proprio l’idea che una persona debba necessariamente specializzarsi in un solo ambito per avere successo e affianca, accanto a queste personalità che lei chiama specialiste, le personalità multipotenziali: se le specialiste sono le persone che si concentrano in profondità su un unico campo sviluppando competenze verticali, quelle multipotenziali sono le persone che esplorano diversi ambiti e si muovono in modo trasversale.
Entrambe queste figure sono fondamentali per affrontare le sfide complesse del nostro tempo e solo dalla collaborazione tra queste due forme di intelligenza può nascere un’innovazione efficace e sostenibile.
Ascoltando per la prima volta il TED di Emilie Wapnick mi sono accorta che non avevo mai fatto pace con la mia natura multipotenziale. Mi riferisco al senso di colpa che mi ha accompagnato tutte le volte che ho lasciato sentieri sicuri per strade inesplorate, tutte le volte che sono ripartita da zero.
E anche la mia formazione come insegnante di yoga non è stata risparmiata dalla convinzione che la retta via fosse quella, e solo quella, della specializzazione. Penso ai corsi che non ho fatto, di scrittura e teatro per citarne solo due, e ai tanti viaggi a cui ho rinunciato per approfondire le mie competenze in questo campo. Sono felice e orgogliosa di tutte le formazioni di yoga che ho fatto, quello di cui non sono né felice e né orgogliosa è di averle fatte pensando che solo così sarei mi sarei finalmente sentita brava abbastanza, solo così sarei stata autorizzata a insegnare, solo così non mi sarei sentita un’impostora.
Ho deciso di parlarti di Emilie Wapnick, e di me, perché credo che questo sia un buon momento per interrogarci sulla distinzione specialista-multipotenziale, per chiederci chi siamo oggi e dove vogliamo andare.
Perché di vite non ne abbiamo una sola, ma tante e possiamo iniziarne una nuova ogni primo gennaio, ogni primo del mese, ogni lunedì e ogni alba. Anzi, ogni espirazione è l’occasione per lasciare andare qualcosa che non ci assomiglia più e ogni inspirazione è l’occasione per ripartire da zero.
E se ogni momento può essere quello giusto per fermarsi a riflettere, agosto, secondo me, è un momento più giusto degli altri perché, diciamocelo: è settembre il nuovo capodanno!
Visto che questo è il blog di una scuola di yoga, e qualcosa sullo yoga tocca dirla, ho pensato di condividere qualche consiglio per portarlo con te in vacanza. Per farlo, prendo spunto proprio dai tre “super poteri” individuati da Emilie Wapnick nelle persone multipotenziali:
Sì, perché se per fare la nostra pratica di yoga abbiamo bisogno di due ore libere da interruzioni e lontane dai pasti, uno spazio ampio abbastanza per le posture acrobatiche, un pavimento rigorosamente in parquet e, come se servisse dirlo, il più assoluto silenzio… beh, è probabile che in vacanza avremo poche occasioni di srotolare il tappetino.
Ecco i miei consigli:
Pratica anche se hai solo mezz’ora libera, cogli l’attimo e adatta la sequenza al tempo che hai a disposizione: puoi fare qualche posizione per tipo: posizioni in piedi e sedute, flessioni ed estensioni, equilibri e inversioni; oppure una pratica energizzante con tanti saluti al Sole. E sii curiosa e curioso di come reagisce il tuo corpo.
Esplora nuove posizioni in sinergia con lo spazio. Se ci sono delle sedie nei paraggi, invece di considerarle delle occupanti abusive, sfruttale: appoggiaci i piedi in Halasana, così da tenere la posizione più a lungo, oppure le gambe in Savasana, ideale per rilassare la schiena dopo una camminata e se fa molto caldo.
Se fai fatica a concentrarti, ad esempio se c’è molto rumore, sperimenta nuove possibilità: metti un po’ di musica, prova diversi generi e album, cerca la tua colonna sonora ideale. Potresti scoprire che la tua pratica è una fan di Bach, dei Pink Floyd o di Björk.
Se vuoi altri consigli per praticare in vacanza li trovi qui.
Mentre se devi scegliere un tappetino yoga da viaggio vai qui.
Io ti auguro un’estate ricca di sperimentazioni coraggiose e sorprendenti scoperte, perché questo è il momento ideale per liberarci dal costume dell’uomo tigre e scoprirci diverse e diversi da ieri.
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Foto di Art Gallery Marini & Pannuzzo