Gli sguardi sono corpi
26 Maggio 2022
Scopri di piùQuando i nostri antenati ebbero l’idea geniale di ergersi su due gambe, valutarono sicuramente i vantaggi per l’evoluzione della specie, ma non potevano immaginare in quale guaio si stavano infilando e quanta fatica questa scelta avrebbe comportato rispetto a una confortevole quadrupedia, soprattutto nei primi e negli ultimi anni della nostra esistenza.
Il padre dello Yoga classico, Patanjali, sosteneva che l’asana deve essere Sthira e Sukha, stabile e confortevole. Ora, noi praticanti yoga sappiamo bene che non è affatto così, che la maggior parte delle posture è tutt’altro che comoda e, soprattutto, nell’eseguirle ci sentiamo oscillare irrimediabilmente in cerca di una stabilità – un equilibrio – che sembra non arrivare mai. Eppure, il controllo del nostro corpo è il primo passo, secondo Patanjali, per riuscire ad acquietare la mente e i suoi movimenti, che causano la sofferenza.
In un post precedente abbiamo parlato di Utthita Hasta Padangustasana, una postura che molti di noi associano all’idea dell’equilibrio per eccellenza, così come Vrksasana (l’albero) o Garudasana (l’aquila). Ma il problema dell’equilibrio non riguarda solo le posizioni in piedi: ci sono anche molte posture a terra che richiedono capacità di controllo e tenuta. Tra queste, tre che incontriamo nella prima serie dell’Ashtanga yoga e che sono tra loro imparentate: Navasana (la barca), Ubhaya Padangustasana (la postura dei due alluci) e Urdhva Mukha Paschimottanasana (la postura dell’allungamento verso l’alto).
La prima qualità richiesta da queste posture è la tenuta della cintura addominale. Sì, sempre lui, il nostro amato «core». Nel caso di Ubhaya e Urdhva Mukha interviene un ulteriore elemento destabilizzante: il fatto che entrambe queste posture si prendono a partire da Halasana (l’aratro), afferrando gli alluci o i piedi con le mani e rotolando sulla schiena fino a salire con la schiena e le gambe ben dritte, rimanendo in equilibrio sulla parte posteriore degli ischi per cinque respiri. È evidente che, oltre alla forza dei muscoli addominali necessaria per restare in questa posizione senza cadere, sia necessario avere anche una buona flessibilità dei tendini delle gambe. Soprattutto nel caso di Urdhva Mukha Paschimottanasana (come suggerisce il nome stesso della postura) è importante saper eseguire con una certa disinvoltura Pashimottanasana (la pinza) per poter stendere a pieno le gambe ed ergersi con il busto verso l’alto.
Per preparare queste posture, ti segnalo un paio di articoli dedicati rispettivamente a Ubhaya Padangustasana e a Urdhva Mukha Pashimottanasana: troverai i benefici e le controindicazioni per ciascuna e alcuni consigli per arrivare alle posizioni finali procedendo un passo alla volta, adottando all’inizio qualche variante, per non scoraggiarti e per non farti male.