Gli sguardi sono corpi

26 Mag 2022

Gli sguardi sono corpi Gli sguardi sono corpi

Durante le lezioni di Mysore Style ognuno fa la sua pratica, la sua sequenza personale, e ogni tappetino diventa una stanza privata; eseguiamo la nostra sequenza rivolgendo lo sguardo alla punta del naso, lottando contro l’istintivo vagare degli occhi su chi pratica accanto a noi (“Wow che postura difficile fa quella ragazza, ma quanto suda quello!?”), oppure sull’insegnante (“Mi guarda? Se mi guarda mi impegno di più”).

La nostra apparente privacy può quindi essere violata continuamente dallo sguardo degli altri studenti, ma soprattutto dell’insegnante, che guarda, giudica (?) e corregge. Un giorno un’allieva, ridendo, mi ha detto che il suo ragazzo, anziché chiederle “Vai a fare Yoga?”, ha preso l’abitudine scherzosa di domandarle “questa sera vai a farti giudicare?”.

Per chi non pratica Mysore Style è infatti difficile capire perché si dovrebbe andare a fare yoga “da soli”, con “uno” che ti guarda.

Ho riso molto quando me lo ha detto, ma poi ho riflettuto sull’effettiva affinità tra le parole guardare e giudicare e mi sono resa conto, da insegnante, del regalo che ci fanno i nostri studenti nel portare sul tappetino, e sotto i nostri occhi, non solo i loro corpi, ma anche le loro fragilità e insicurezze. Eppure, ci insegnano fin da piccoli che non si guarda una persona intenta a fare altro.
Certo, ci sono delle eccezioni: uno spettacolo di danza, un concerto, una partita, ad esempio.
Qui, però, è diverso. Gli studenti non ci devono intrattenere e tanto meno ci devono mostrare la loro bravura, e per questo, come insegnanti, abbiamo il dovere di chiederci: cosa stiamo guardando? Come possiamo guardare senza giudicare? Come ricambiare la fiducia che ci viene data?

Quando insegno, mi dico che non devo guardare lo studente, ma ciò che lo studente guarda, perché in fin dei conti stiamo lavorando allo stesso puzzle e ognuno aggiunge il pezzo che riconosce come quello giusto al momento giusto. Si lavora insieme o, come mi piace dire, si gioca insieme. Ma non è un rapporto di coppia, perché anche il gruppo ha il suo ruolo. Per anni, tutte le volte che ho praticato in una classe, ho patito lo sguardo degli altri, studenti e insegnanti. Troppo preoccupata del giudizio degli altri, non mi godevo quel prezioso tempo che mi stavo dedicando e la pratica, così mia quando fatta in solitudine, diventava qualcosa che dovevo esporre sulla pubblica piazza: “Ecco, questa sono io, che voto mi date?”
…altro che sguardo alla punta del naso!

Ed è proprio come studente che ho capito quanto sia fondamentale frequentare una scuola di Yoga che ci assomiglia, in cui il contatto tra noi e gli altri è morbido, una coccola piuttosto che una sfida. Il gruppo deve essere un supporto, non uno stimolo: per non nutrire il proprio giudice interiore, per non vergognarsi se non si riesce a fare qualcosa, per non aspirare a qualcosa che non ci appartiene. Allo stesso modo, abbiamo bisogno di percepire lo sguardo dell’insegnante non tanto come un guardiano della purezza dello yoga, ma piuttosto come un guardiano della nostra salute, fisica e mentale, non come un “Vediamo dove sbagli”, ma un “Vediamo dove posso esserti utile, come posso esserci per te”.

Usando le parole di Veronesi nel libro Il colibrì*: ti guardo, ti vedo, per me ci sei, per te ci sono. Gli sguardi sono corpi, presenze a volte ingombranti, ci toccano, modificano il nostro fare e per questo devono muoversi nello spazio con rispetto.

Scegli la tua scuola, scegli il tuo insegnante e goditi il tuo momento sul tappetino.

*[Ref. Sandro Veronesi, Il colibrì, cap. Gli sguardi sono corpi (2015)]
Cover photo by Amanda Dalbjorn / Unsplash

Potrebbe interessarti anche

Pranayama, energia vitale e controllo delle emozioni

15 Aprile 2022

Scopri di più

Uno, nessuno e centomila. Quanti sono gli asana nello yoga?

1 Aprile 2022

Scopri di più

Cinque consigli per arrivare sul tappetino alle 7 am

17 Marzo 2022

Scopri di più

Come scegliere il tappetino yoga che fa per te

18 Febbraio 2022

Scopri di più