Gli sguardi sono corpi
26 Maggio 2022
Scopri di piùIn tutte le tradizioni antiche, il cavallo è il simbolo per eccellenza della del potere e della ricchezza, della bellezza e della forza. Apollo faceva compiere al Sole il suo giro quotidiano su di un carro trainato da cavalli alati. Pegaso era il cavallo prediletto da Zeus. La mitologia e le fiabe traboccano di unicorni alati dotati di magici poteri. E per tornare con i piedi per terra, per un cavallo il re Riccardo III avrebbe scambiato volentieri il suo regno – o almeno così ci narra Shakespeare. L’India non fa eccezione, tanto che nella tradizione vedica, come racconta Roberto Calasso nel suo libro «Ka» (edito da Adelphi), il sacrificio del cavallo (‘aśvamedha) era uno dei riti più importanti dell’anno, officiato da un re in persona.
Ebbene, nella pratica Yoga non poteva mancare una posizione dedicata a questo nobile animale, Vatayanasana, il cui significato letterale sarebbe, secondo alcuni studiosi, «veloce come il vento», oppure «veicolo dell’aria». Quindi, per antonomasia, il cavallo. Ora, potresti contestare che la forma di questo asana non ricorda affatto l’aspetto del nostro amato quadrupede. Hai ragione e infatti non è una questione di forma, ma di sostanza. Perché eseguire questa postura – e soprattutto mantenere l’equilibrio – per la maggior parte dei praticanti risulta difficile e sfidante quanto può esserlo domare un cavallo selvaggio.
Ancora una volta, è una questione di equilibrio: su di un piede e su un ginocchio. Ma anche di flessibilità delle anche e delle articolazioni del ginocchio, di apertura delle spalle, di forza e stabilità dell’addome e della scienza.
Tanto che l’antropologa e insegnante di yoga Zo Newell, per introdurci a questa postura e darci anche qualche suggerimento pratico su come eseguirla, in un suo articolo intitolato Vatayanasana: Exploring the Mythology, parte da molto lontano: dall’Età dell’Oro (Sathya Yuga) addirittura, l’epoca dell’equilibrio e della pace, della gioia e dell’abbondanza, a cui sarebbero succedute ere via via più corrotte e caotiche, sino a quella attuale, Kali Yuga, l’epoca del disordine e dell’ingiustizia. Secondo le sacre scritture, a salvare l’umanità da questo tempo di sofferenza, arriverà un avatar di Vishnu, Kalki, brandendo una spada magica in sella a un cavallo bianco.
Ecco, ci suggerisce Zo Newell, nella nostra pratica quotidiana dovremmo cercare il nostro Kalki interiore: il guerriero, o l’eroe, capace di riportare equanimità e gioia nelle nostre vite, anche nel bel mezzo del caos e del disordine. E una postura come Vatayanasana è un ottimo esercizio, come sempre fisico e mentale insieme, per coltivare questo coraggio e questa forza interiori. Nell’instabilità e nella fatica che si provano eseguendo questo asana, soprattutto all’inizio, è davvero difficile sentirci a nostro agio. Si cade avanti e indietro, tante volte, prima di trovare finalmente un equilibrio seppur precario. Imparare a sollevare il busto e le spalle, aprendo il petto sicuri, richiede tanto tempo, tanta pazienza e tanta umiltà. Ed è così, scrive Newell, che possiamo allenarci a ritrovare il nostro svadharma (il nostro destino, il nostro posto nel mondo, il nostro obiettivo esistenziale) e cercare la nostra personale Sathya Yuga.