Pranayama, energia vitale e controllo delle emozioni

15 Apr 2022

Pranayama, energia vitale e controllo delle emozioni Pranayama, energia vitale e controllo delle emozioni

Assieme agli Asana (le posture, di cui abbiamo parlato in un’altro post) il Pranayama è probabilmente l’aspetto dello Yoga più diffuso e praticato al giorno d’oggi in tutto il mondo. Spesso identificato in modo semplicistico con la respirazione, il Pranayama è in realtà molto di più: è il metodo, o meglio, un insieme di metodi, di controllo consapevole del nostro respiro. Il termine stesso (composto dalle parole «prana» più «ayama» o «yama») ci aiuta a comprenderne il significato: prana, in sanscrito, indica infatti l’energia vitale che connette le parti del corpo umano. Ayama significa invece «controllare in modo conscio e consapevole», mentre yama si può tradurre con «trattenere» o «ritenzione».

In questa accezione il termine Pranayama compare negli «Yoga Sutra» di Patanjali (circa II secolo d.C.), che lo cita come quarto passo del percorso yogico (libro 2, sutra 49-55), subito dopo gli Asana e prima delle tappe meditative e spirituali di tale percorso, precisando che si compone di tre diversi momenti: gatti viccheda (interruzione del respiro o ritenzione), shwas (inspirazione) e prashwas (espirazione). Il termine Pranayama compare anche nel libro 1 (sutra 34) come pratica per pulire e purificare la mente.

Saranno poi i testi fondamentali dello Hatha Yoga (in particolare la «Goraksha Sataka», l’«Hatha Yoga Pradipika» e la «Gheranda Samhita») a descrivere nel dettaglio i diversi tipi e tecniche di Pranayama che oggi conosciamo e pratichiamo, che hanno l’obiettivo prioritario di tenere libere e pulite le 72mila nadi (canali energetici) che attraversano il nostro corpo e lungo le quali scorre appunto il prana. Gli elementi fondamentali di questa pratica, come per Patanjali, sono tre: kumbaka (ritenzione), puraka (inspirazione) e rechaka (espirazione), mentre decine sono i tipi di Pranayama elaborati dallo Hatha Yoga. Per conoscere i principali, oltre alla storia e agli aspetti filosofici e spirituali legati al concetto di prana, ti consigliamo la lettura di «Pranayama. La dinamica del respiro», di André van Lysebeth (ed. Astrolabio).

Ma quando nasce il Pranayama? Le sue origini sono molto antiche, documentate già nei «Veda», nelle «Upanishad» e nella «Bhagavad Gita», le sacre scritture in cui affonda le proprie origini lo Yoga, che riferiscono di pratiche per controllare il respiro, utilizzate per lo più in occasione di cerimonie religiose o durante l’intonazione di mantra.
Del resto, avendo a che fare con il respiro – che per antonomasia è l’essenza stessa della vita – si può dire che il Pranayama sia antico quanto l’umanità.

Non serve essere dei medici per accorgersi che tra respiro e stati d’animo c’è una connessione molto forte.

Se il respiro è disturbato, anche la nostra mente lo è (o il nostro cuore) e viceversa. Gli yogi si erano resi conto di questa relazione già migliaia di anni fa, intuendo che se le condizioni della mente hanno influenze tanto evidenti sul respiro, deve essere vero anche il contrario. Perciò hanno elaborato nei secoli una serie di metodi (sempre più dettagliati e sofisticati) per controllare la respirazione e, attraverso essa, le nostre emozioni.

Nell’articolo «History of Pranayama», pubblicato sul suo sito Yogic Concept, Anil Singh ha ricostruito l’evoluzione del concetto di Pranayama nelle diverse epoche, attraverso la sua documentazione nei testi sacri, in cui compare talora con nomi differenti. Ad esempio, nei «Veda» si fa cenno a mantra molto lunghi che gli studenti delle gurukula (le antiche scuole indiane) dovevano intonare, in alcuni casi recitandoli tutti d’un fiato. Una sfida non da poco, per la quale era necessario perciò allenare il proprio respiro. Sempre in epoca vedica, pratiche di Pranayama sono testimoniate in occasione di cerimonie rituali: gli officianti dovevano trattenere il respiro per un certo periodo di tempo prima, durante oppure dopo l’atto dell’offerta.

Anche nella «Gita» (III secolo a.C.) il concetto di Pranayama è associato alle offerte rituali: il prana viene descritto come energia vitale del corpo e la sua pratica è chiamata «Yoga Dharana» o concentrazione yogica, il primo stadio della meditazione in senso più autentico.

Ed eccoci di nuovo agli Yoga Sutra di Patanjali, allo Hatha Yoga e al Tantra Yoga, tradizioni che inseriscono il Pranayama in un sistema complesso fatto di regole morali ed etiche (yama e nyama), posture (asana), chiusure energetiche (bhanda), tecniche di purificazione (kriya).

Scrive André van Lysebeth che il Prana (con la «P» maiuscola) è considerato nella filosofia indiana la somma totale di tutte le energie dell’universo. Ebbene, dato che c’è corrispondenza esatta tra il macrocosmo dell’universo e il microcosmo dell’essere umano, allora il prana (con la «p» minuscola) è la somma di tutte le energie che animano l’uomo e la sua manifestazione più evidente è il respiro.

Un elemento vitale così importante, che nella «Gheranda Samhita» (V, 1) si legge: «Ora ti dirò le regole del Pranayama. Attraverso ciò, un uomo diviene simile a un dio»

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