Ashtanga Yoga, nulla cambia affinché tutto cambi

29 Ott 2021

Ashtanga Yoga, nulla cambia affinché tutto cambi Ashtanga Yoga, nulla cambia affinché tutto cambi

Raccontano che Savitramma (meglio nota come Amma, “madre”), stanca di non riuscire mai a passare un po’ di tempo con il marito – troppo impegnato a tenere le sue classi di yoga a centinaia di allievi da tutto il mondo – pretese che almeno al sabato chiudesse la scuola e si dedicasse alla famiglia: lei e i tre figli Saraswati, Manju e Ramesh.

Il marito in questione era Sri K. Pattabhi Jois. Non proprio uno qualunque, ma colui che consideriamo il padre dell’Ashtanga Yoga, fondatore di quella scuola di Mysore, India, da cui prende il nome anche lo stile di pratica individuale che si esegue nelle scuole di tutto il mondo.

Sarebbe questa (una ragione strettamente privata e affettiva) l’origine di una delle principali regole dell’Ashtanga, che stabilisce al sabato il giorno di riposo settimanale (in aggiunta ai due giorni mensili di luna piena e nuova e, per le donne, i giorni del ciclo).

Aneddoti a parte, la storia dell’Ashtanga Yoga ci riporta nell’India degli anni Quaranta, precisamente nel Sud del Paese, a Mysore, dove nel 1948 Pattabhi Jois aprì la sua scuola di appena due stanze nel distretto di Lakshmipuram, l’Ashtanga Yoga Research Institute (AYRI), oggi guidato dal nipote Sharat, figlio di Saraswati. La storia dell’India di quegli anni – da poco emancipatasi dal ruolo di colonia inglese, ma ancora strettamente legata al mondo europeo – ci racconta molto di come e perché questo stile di yoga si sia diffuso in tutto il mondo più rapidamente e con maggior successo di altri stili, magari più “soft”, rilassanti o semplici (almeno all’apparenza) da praticare, di cui abbiamo parlato in un post precedente.

Vediamo innanzitutto le caratteristiche essenziali dell’Ashtanga. Come accennato, si tratta di uno stile dinamico, che si inserisce nel solco della tradizione dell’Hatha Yoga, ma

si arricchisce di alcune influenze della ginnastica europea che tra gli anni Venti e Quaranta del secolo scorso si diffusero anche in India e in particolare a Mysore

dove, sotto la benedizione di un Maraja illuminato e di larghe vedute, Krishnaraja Wodeyar IV, insegnava Sri Trimulai Krishnamacharya, maestro dello stesso Pattabhi Jois e considerato il fondatore dello Yoga moderno, quello che poi si sarebbe diffuso, grazie ai suoi allievi prediletti (Jois, Iyengar e Desikachar), anche in Occidente.

Nell’Ashtanga, un ruolo centrale gioca la respirazione: il ritmo del respiro (un respiro “sonoro”, detto ujjayi) è infatti strettamente coordinato e sincronizzato con ogni singolo movimento della pratica. Questa connessione tra i due elementi è chiamata «Vinyasa», da cui il nome Ashtanga Vinyasa Yoga, noto anche come «Yoga del respiro». Oltre al respiro, fondamentali per la pratica sono i bandha (le “chiusure” all’altezza del perineo e dell’ombelico per trattenere e incanalare l’energia durante la pratica) e il drishti, la direzione dello sguardo, che favorisce la concentrazione.

Un’altra caratteristica che identifica l’Ashtanga è che la sequenza degli asana è fissa, per ciascuna delle sei serie tramandate. All’inizio, i principianti vengono guidati dall’insegnante in un certo numero di posture della Prima serie, finché non le memorizzano, dopodiché cominciano a praticare in modo individuale, sempre sotto lo sguardo attento dell’insegnante che interviene per “aggiustare” fisicamente le posture già assegnate (aiutando gli studenti a eseguirle in modo corretto per non farsi male) e per aggiungerne di nuove. In questo modo si prosegue (in linea teorica) fino alla Quarta serie (nota come Serie Avanzata B). Le serie successive sono avvolte in un manto di confusione e mistero, dovuti al fatto che manca una documentazione scritta e che solo pochissimi studenti al mondo hanno raggiunto questo punto nella pratica, perciò la tradizione presenta diverse lacune. Purtroppo, questo è un fatto molto comune quando si parla di Yoga, ma mentre per lo Yoga classico di Patanjali e per l’Hatha Yoga i testi fondanti sono arrivati fino a noi, quelli su cui si dice sia basato l’insegnamento di Pattabhi Jois, gli Yoga Korunta, sono andati perduti.

Guruji (come lo chiamavano affettuosamente i suoi allievi) raccontava infatti di aver ricevuto il libro con gli Yoga Korunta dal suo maestro Krishnamacharya, quando questi si trasferì da Mysore a Chennai lasciando a Jois l’onore e l’onere di portare avanti la sua scuola. A sua volta, Krishnamacharya avrebbe trovato quel volume in una libreria di Calcutta e diceva che contenesse l’intero sistema di asana (oltre 3mila) che lui stesso aveva appreso dal suo maestro, Ramamohan Brahmachari, con cui aveva studiato per ben sette anni e mezzo sulle remote montagne dell’Himalaya. La leggenda vuole che questo sacro testo fosse stato scritto in un’epoca molto antica dal saggio Vamana Sri, con l’aiuto nientemeno del dio Vishnu, e poi fosse caduto nell’oblio fino, appunto, agli inizi del Novecento.

Purtroppo, gli Yoga Korunta sono andati perduti definitivamente, divorati dalle formiche nella casa di Jois. Dobbiamo quindi fidarci delle parole di Guruji, che era solito dire ai suoi allievi, nel suo inglese smozzicato, «Never changed anything»: «Non ho mai cambiato nulla della tradizione antica». La stessa frase che avevano pronunciato prima di lui anche Krishnamacharya e Brahmachari.

Questa pratica avrebbe dunque origini molto antiche eppure, come abbiamo visto, ha saputo assorbire adattamenti e innovazioni e continua a farlo, sebbene tanti insegnanti di Ashtanga in tutto il mondo, allievi diretti di Jois o allievi dei suoi allievi, continuino oggi a ripetere quella frase: «Never changed anything». Ma proprio questa è, secondo noi, una delle magie di questo stile: è un linguaggio universale, comune, parlato in tutto il mondo, con qualche “cadenza”, variazione o dettaglio regionale. Un praticante potrà sempre entrare in una qualunque shala di Ashtanga di qualunque Paese del mondo e sentirsi a casa, sapendo esattamente cosa fare.

Inoltre, oggi abbiamo a disposizione alcuni testi che ci aiutano a tramandare la tradizione: gli «Yoga Mala» (ed. Scuola di Astanga Yoga, Roma), un piccolo libro scritto dallo stesso Pattabhi Jois (e curato dal suo allievo Eddie Stern) che descrive nel dettaglio la Prima serie e i suoi benefici fisici; e il volume di Lino Miele (anche lui allievo di Guruji) «Ashtanga Yoga. Lo yoga del respiro» che spiega tutte le posizioni delle prime quattro serie, compresi drishti (la direzione dello sguardo) e conteggio del Vinyasa.

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