Yin Yoga, l’arte dello stare

12 Nov 2021

Yin Yoga, l’arte dello stare Yin Yoga, l’arte dello stare

Dicono così, che i poli opposti si attraggano. Se fosse vero, lo Yin Yoga dovrebbe essere la mia pratica ideale. Sono l’emblema dello Yang, da sempre: ipercinetica, incapace di stare ferma più di 30 secondi. Savasana, non a caso, è la postura che mi mette più a disagio, per assurdo che possa sembrare. Altro che verticali, inarchi o apertura delle anche:

la vera «Yoga challenge», per quelli come me, è tenere a lungo una postura, anche la più semplice.

Credo che questo riguardi molti praticanti, che sul tappetino faticano a lasciar andare lo stress e i pensieri legati alla quotidianità, abbandonandosi completamente al fluire dell’energia (il «chi», secondo la medicina cinese tradizionale, il «prana», secondo la cultura yogica indiana). Ecco: questo post è per noi, cari yogi e yogini frettolosi. Per imparare a stare e allo stesso tempo a lasciar andare, come insegna il padre dello Yin Yoga Paulie Zink, un ex campione statunitense di arti marziali che negli anni 70 ha fondato questo stile, combinando alcune tecniche delle arti marziali con elementi del taoismo cinese, dello Hatha Yoga e con l’osservazione del movimento degli animali.

Fondato da Paulie Zink, negli anni 70, e poi rielaborato e diffuso in modo più sistematico da Paul Grilley e Sarah Powers una decina di anni dopo, lo Yin Yoga è una forma di Hatha Yoga, in cui i praticanti sono chiamati a tenere le posture per un tempo più lungo del normale (circa 5 minuti ciascuna) e in questo senso i suoi seguaci ne rivendicano le antiche origini, sebbene si tratti di fatto di uno stile senza “lignaggio”, dal momento che non esistono testi sacri o scritture a esso dedicati. Con lo Hatha Yoga condivide perciò anche i testi fondanti, se così si può dire: l’Hatha Yoga Pradipika (XV secolo d.C.) e la Gheranda Samhita (XVI-XVII secolo d.C.), di cui abbiamo parlato in un post precedente. In questi libri è descritto un numero limitato di Asana, in parte «Yin» (ovvero statiche e studiate per lavorare sulla struttura profonda dei tessuti connettivi: legamenti, tendini e la cosiddetta “fascia”, che li circonda) e in parte «Yang» (dinamiche e pensate cioè per agire sulla muscolatura superficiale del corpo).

Con il tempo, il numero di Asana «yang» è andato aumentando, rispetto alle posture «Yin», sino ad arrivare, oggi, alla netta prevalenza (e preferenza da parte dei praticanti) di queste ultime, almeno nei Paesi occidentali, con il diffondersi di stili Yoga quali l’Ashtanga, il Vinyasa, il Bikram, l’Hatha Flow ecc.

Non che ci sia nulla di male, ovviamente. Io stessa, come ho ammesso all’inizio, sono una praticante decisamente «yang».

È vero però che, proprio per riequilibrare i flussi energetici e per ottenere maggiori benefici fisici e mentali dalla pratica, l’ideale sarebbe alternare pratiche yin e yang.

Lo stesso Zink, del resto, sosteneva la necessità di integrare questi due stati dell’essere, dal momento che si rifaceva alla cultura cinese taoista, secondo la quale il benessere dell’individuo, così come l’armonia dell’universo, si fonda sull’alchimia dei cinque elementi di base (Terra, Matallo, Acqua, Legno e Fuoco) e sulla complementarità dei principi opposti (lo Yin e lo Yang, appunto), che sono alla base della medicina cinese e delle tecniche di agopuntura.

Per questo, il termine corretto con cui definire lo stile messo a punto da Paulie Zink (che tuttavia parlava di “arte”) sarebbe quello di «Yin Yang Yoga» o di «Yoga Taoista». Uno stile diverso, a detta dello stesso Zink, dallo Yin Yoga che oggi si insegna nella maggior parte delle scuole nel mondo, in cui prevalgono decisamente gli aspetti «Yin» e «restorative» della pratica. Quest’ultimo è l’insieme di Asana e prescrizioni ideate alla fine degli anni 80 da un altro americano, Paul Grilley e dalla sua studentessa Sarah Powers. Si racconta che una sera Grilley, vedendo in tv una dimostrazione di Paulie Zink, rimase affascinato dalla sua incredibile flessibilità, grazia e forza. Si mise dunque in contatto con il maestro e ne seguì gli insegnamenti per un anno, completando tuttavia solo il primo livello, quello relativo alle posture più statiche, che sarebbe alla base dello Yin Yoga oggi più noto e diffuso. Su questa base Grilley, appassionato studioso anche di anatomia, agopuntura, sistema dei meridiani e dei chakra, ha in seguito lavorato per aggiungere altri elementi, provenienti appunto da queste discipline.

Una lezione di Yin Yoga, oggi, consiste in circa 60-90 minuti durante i quali i praticanti sono invitati a eseguire un numero limitato di posture, da tenere a lungo: fra i 3 e i 5 minuti per i principianti, anche di più per gli avanzati. Questa staticità prolungata ha diversi benefici sul corpo e sulla mente. Nel primo caso, agendo come detto sui tessuti connettivi, scioglie i blocchi energetici, ammorbidisce e rinforza la muscolatura profonda che circonda le articolazioni. Nel secondo caso, aiuta a trovare la concentrazione e ci accompagna verso lo stato meditativo.

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